L’erba nocca
Giani Stuparich
Trieste, 1945. La guerra è finita, ma non per il protagonista di questo racconto, uno scrittore che immagina di essere morto anche lui negli ultimi tragici mesi, con il cuore soffocato dal «peso di tanti infiniti dolori».
Ha chinato il capo sulla pagina come un fiore rimasto senz’acqua, come quel fiore modesto ma arguto nel quale gli sembra di veder rinverdire il suo sorriso: l’erba nocca, uno stelo senza colore che rinasce a ogni primavera dalla terra aspra del Carso e che lui soltanto ama e raccoglie per la sua «tremenda nudità».
Lo studio dove viveva, alto sopra la casa, è adesso il rifugio della figlia Orsola, la bambina curiosa che si arrampicava in cima al cipresso per spiare dalla finestra quel padre assorto e taciturno al quale lo lega, oltre le generazioni, una misteriosa affinità.
Giani Stuparich «è uno dei rari scrittori che, a lettura finita, noi crediamo di aver conosciuto da sempre e di cui resta in cuore il tono come una cara melodia» (Eugenio Montale).
Giani Stuparich, L’erba nocca, a cura di Giuseppe Sandrini
cm. 12×17, 64 pagine
maggio 2008
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