Nella valle degli Ossi
Il nome non è molto rassicurante, e in effetti questo, tra i valloni che scendono dal Monte Baldo al Lago di Garda, è forse il più difficile da percorrere. Si sa che, alla fine del ghiaione, c’è un salto di roccia che lo separa dalla Val Lunga e dal sentiero che mette nel porto quieto dell’eremo dei santi Benigno e Caro. Per questo la «Val dalli Ossi», come la chiama Francesco Calzolari nel Viaggio di Monte Baldo, è poco frequentata dai camminatori di oggi; eppure già il famoso speziale scendeva in cerca di erbe medicinali nella «valletta con le sponde intorno in forma di Theatro», sfidando i pendii più scoscesi della montagna amata e terribile che, nel 1586, strappò alla vita il suo giovane figlio Angelo.
Abbiamo provato anche noi a calarci in questo catino di pietra, bianco nel sole d’agosto: poco sotto Cima Telegrafo, abbiamo valicato l’esile selletta che conduce giù per il ghiaione, lungo sbiadite tracce di sentiero. Dopo un bel po’ abbiamo raggiunto, sulla destra, un forcellino assediato dai mughi, ma non avevamo più tempo per proseguire. Ci è bastato arrivare nel cuore selvaggio del Baldo, sotto Punta Manara, dove la più dirupata delle geologie si ingentilisce nel verde di una vegetazione rigogliosa, regalo del clima mite del Garda.
È sempre laggiù, il lago, con il suo azzurro profondo da fiordo alpino che porta però fino a noi una ventata di Mediterraneo, tanto che – come scrive ancora Calzolari – «vi sono giardini di cedri, limoni, e pomi d’Adamo, belli, verdi e d’ogni stagione carichi di fiori e di frutti, come se ivi fosse di continuo una bellissima primavera». Ma qui, tra le forre più intricate del Baldo, i paesi del Garda restano remoti come un sogno, anche se a momenti sembra di poterli toccare con la mano.